lunedì 27 dicembre 2010

BEES - Every Step's A Yes - (Fiction) - 2010

Di Matteo Machetti



Eccomi  di nuovo qui, saturo, riempito di cibo mondano e affettuosamente rigenerato da giorni passati insieme a persone davvero care.  Credo sia proprio per merito di questo cocktail salutare, per cui la mia mente si è fermata di fronte a note e melodie provenienti, pensate un po’,  niente di meno che dall’ Isola di Wight.  
  
Stiamo parlando dei  Bees,  gruppo che vanta una carriera se non altro racchiusa nella mediocrità senza impennate di rilievo. Stiamo parlando di un genere, il  pop,  quello che se  lo si ascolta con orecchio distratto ti fa pensare immediatamente al revival , al vintage. Presumo invece, che non sia niente di tutto ciò. credo che siamo di fronte a  qualcosa di davvero sincero, qualcosa di attuale, come un tesoro nascosto che riemerge in superficie.
Devo dire che è un album ben riuscito, scivola via che è un piacere con la giusta dose di psichedelia sempre presente. Ma,  è ad un certo punto che è arrivato quello per cui mi trovo a parlare dell’isola di Wight. Il suo nome è Winter Rose parliamo della seconda traccia, oppure singolo se preferite LP. E’ sicuramente la ciliegina sulla torta di questo  Every Step’s A Yes.

La storia inizia con una chitarra caraibica di una qualita’ subacquea alla quale diventa difficile reagire, poi la pista scivola facilmente in un contagioso beat in salsa raggae, accompagnato da un “sonno” che la band ci fa vivere con le sublimi armonie vocali, fatte di ritornelli insistenti e una fantastica sequenza finale a base di  trombe magiche. Come si spenge lentamente, sei lasciato con la sensazione di esserti appena svegliato da un sonno profondamente soddisfacente.  Questo pezzo è veramente qualcosa di speciale ragazzi!!

Buon ascolto e buone feste

giovedì 23 dicembre 2010

Mark McGuire – Living with Yourself (Editions Mego)

Di Giacomo Bellini
Mark McGuire è il ventiduenne chitarrista degli Emeralds, band cosmica da Cleveland (OH), ed è uno di quei chitarristi con la passione per il virtuosismo. Come tutti gli artisti che suonano tale strumento in maniera “virtuosa” soffre di claustrofobia da gruppo. Gli Emeralds, pur essendo un band cosmica influenzata dal glorioso kraut rock tedesco anni ’60,  hanno comunque delle regole per poter vivere in armonia con altri individui che suonano altri strumenti. Queste regole ovviamente vanno a dar fastidio alla vena virtuosistica del nostro Mark ed ecco che lui se ne esce con questo Living with Yourself in cui può dare libero sfogo alla sua passione per droni, feedback e arpeggi in stile Fripp.

L’album è composto da 7 tracce tutte (o quasi) caratterizzate da un inizio in cui arpeggi frippiani effettati con eco introducono l’ascoltatore in un’atmosfera intima suonando come piccole gocce di pioggia che sbattono sulla finestra. Puntuale dopo questa pioggerellina arriva maestoso e inaspettato il temporale di feedback che scuote questa atmosfera da cena estiva in famiglia (o da natale con i tuoi visto il periodo). Ricalcando la melodia degli arpeggi la rende meno rilassata e più cattiva, più aggressiva svegliando l’ascoltatore dal torpore dell’inizio. Esempio più riusciuto di tale modus operandi (neanche fosse un serial killer) è la traccia n. 4 “Brain Storn (for Erin)”. Traducendo letteralmente questa espressione in Tempesta Celebrale ecco che abbiamo una perfetta descrizione di cosa sia questo pezzo. Udire per credere :

Detta così comunque mi rendo conto che possa sembrare un disco noioso, la solita opera del virtuoso che si autocelebra in un impeto di cazzolunghismo. Mai definizione sarebbe più sbagliata. Il disco suona che è un piacere, leggero, intimo, rilassato e vivace. Si è cullati da leggeri droni (per rendere l’idea alla Stereolab) e, poco prima di assopirsi, svegliati e animati dal feedback. Chiare le influenze di gruppi che spaziano dai Kraftwerk, al gia citato Fripp, dagli Spacemen 3 ai Jesus & Mary Chain.

Fa eccezione (parziale eccezione) rispetto alle 6 canzoni precedenti l’ultima traccia “Brothers (for Matt)”. E’ la più rock nel classico senso del termine. Qua infatti per la prima volta abbiamo anche una batteria e il pezzo potrebbe stare benissimo in un disco dei Dinosaur Jr. Si inizia come in altri pezzi con i soliti arpeggi, voci che parlano (possibile siano familiari di Mark in questo potrebbero essere  Mark e suo fratello da piccoli) e un incalzante feedback di sottofondo. Ad interrompere questo quadretto idilliaco è il prepotente ingresso della batteria e l’esplosione del feedback che sa tanto di J. Mascis. E’ la più “cattiva” e la meno virtuosa tra le tracce dell’album ma sinceramente anche la più bella, la più completa.
“This is the Mark McGuire Show” enjoy!

mercoledì 22 dicembre 2010

Darkstar "North" - Hyperdub 2010

  Di Alessandro Anselmi

Cielo grigio su.
Se ai dischi dovessimo abbinare un colore, più che il rosso della copertina a "North" abbinerei il grigio. È "impregnato" di grigio. Lo stesso grigio metallo della periferia di una metropoli industriale, dei macchinari abbandonati, delle catene di produzione ferme, dell'aria piena di smog. Non a caso escono per Hyperdub (Kode 9, Burial...vi dicono niente?) e sul certificato di residenza c'è scritto South London, in quanto a cielo grigio lì ne sanno qualcosa. 

Un album molto atteso, doveva uscire circa un anno fa, cestinato e rifatto ex novo. Io ero tra quelli che aspettava. Aspettavo al varco la strana creatura di nome Darkstar, dopo il bellissimo Ep "Aidy's Girl is a Computer" (traccia qui contenuta) ne volevo ancora. L'attesa è finita a Novembre, qualche settimana dopo stringo tra le mani quest'album in tutto il suo vinilico splendore. Indubbiamente il mese più adatto per un disco così. 

Sono rimasto piacevolmente spiazzato da "North", immaginavo di (ri)trovare un disco legato in qualche modo al Garage inglese, come del resto l'Ep lasciava intendere, invece ascolto molte parti cantate ed una vena Pop che si fa strada lungo tutte le dieci tracce dell'album. "Darkstar" diviene una band, a James Young e Aiden Whalley si aggiunge James Buttery per le parti vocali. La cover, scelta anche come singolo, è indicativa di questo percorso, si tratta di "You Remind Me of Gold" (si quella degli Human League) che diventa "Gold". Il pezzo in questione ma anche il disco tutto, sembra "sedato" da massicce dosi di benzodiazepine. Ci troviamo di fronte a qualcosa di lento, SynthPop-onirico pieno di malinconia e torpore (Deadness). Musica sfuggente, fatta della stessa materia dei sogni. Melodie e beats di basso profilo, parti vocali un'pò lamentose ma mai stucchevoli, ascoltatevi "Under One Roof" e capirete cosa voglio dire. Siamo in territori dove hanno passeggiato certi Radiohead? Forse si.

Cos'altro dire, grazie ancora Hyperdub e ben tornati Darkstar. Sarò lì ad aspettare anche la prossima volta.
 
 
 

domenica 19 dicembre 2010

Marc Ribot - Silent Movies (2010) - Evolution

Di Matteo Machetti
Delle tante chitarre che potevo scegliere, oggi ho deciso di parlare di una chitarra e di un artista davvero speciale. Solo oggi le mie orecchie si sono avvicinate alle fantasiose melodie suonate da Marc Ribot, lui che vanta ormai una carriare da solista di "soli" 20 anni, lui che ha spaziato con numerosi generi dal jazz di avanguardia, all'avant rock, al blues fino a lavori per il cinema: la collaborazione con T-Bone Burnett per la colonna sonora di “Walk the line”, poi  la colonna sonora per “The departed” e  “Ogni cosa è illuminata”, il cd per la Tazdik Shoe String Symphonettes.
Non è facile trovare un  chitarrista così eclettico e versatile, capace di spaziare tra  generi e stili con grande disinvoltura  e risultati qualitativamente sopra la media.

Silent Movie, ha fatto centro al primo ascolto, vi è un suono cosi' delicato, soave, intimo. Sembra una colonna sonora per la solitudine, quella buona intendiamoci, quella piena di ispirazione, quella in cui ti lasci trasportare dagli arpeggi, si con un pizzico di malinconia, ma sempre guardando all'orizzonte dove la vista non riesce ad arrivare.

Non saprei se consigliarvi l'ascolto sulla Route 66 direzione illinois, con il braccio fuori dal finestrino e la cicca in bocca, oppure mettervi alla finestra di casa, mentre fuori scende qualcosa di candido chiamato neve. Dovrete però essere consapevoli della vostra malinconia, dovrete scalfire i vostri pensieri trasporati dalle scienografie incalsanti della chitarra. In ognuno dei due casi vi troverete improvvisamente, di fronte a suoni e vibrazioni, appositamente realizzate per la colonna sonora della vostra vita; il tutto racchiuso nella mente e nell'immaginazione della chitarra di Marc Ribot...

Non so' che impressione vi siate fatti da queste parole, sono certo che ai primi accordi capirete meglio quello che stavo cercando di dirvi...

Buon ascolto

mercoledì 15 dicembre 2010

Tricky: Mixed Race (Domino) 2010

di Giacomo Bellini

Risulta quasi banale il titolo per questa ultima fatica del dj Anglo-Giamaicano Tricky. “Razza Mista” definisce perfettamente cosa sia quest’album, un mix di suoni e culture provenienti dalle periferie londinesi ma non solo. Poggiando la puntina su questo disco ci troviamo così ad affrontare sonorità che provengono dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Giamaica (ovviamente), dagli US e dal Nord-Africa. Il tutto immerso in quella electro-music notturna da club (forse un po’ snob) londinese che riporta alla mente gente come Burial, DarkStar e compagnia suonante.

In Mixed Race Tricky si fa aiutare da svariati ospiti. In UK Jamaican, elettro-funky in pieno stile Daft Punk, troviamo Terry Lynn che con un Hip-Hop Giamaicano ci getta in faccia le difficoltà degli immgrati dalla verde isola caraibica che pensano e agiscono secondo la loro “Kingston Logic”. Frase questa ripetuta come ritornello alternandosi con i duri beat di questo pezzo. Il tema dell’immigrazione e la violenta condizione in cui vivono nell’underground inglese è il punto centrale dei testi di Marlon Thaws (fratello di Tricky)…sparatorie e guerre di strada tra band rivali sono essenzialmente quello di cui si narra in questo Mixed Race.

Se in “UK Jamaican” le sonorità sono palesemente giamaicane in Ghetto Stars è la Francia a farla da padrone. Non solo per le strofe cantante in francese ma per quell’atmosfera che richiama tanto le dure realtà urbane delle balnieue parigine. Atmosfera ricreata da beats lenti, claustrofobici alternati allo stridere di una chitarra metallica. Fa eco a “Ghetto Star” “Hakim” omaggio alla cultura araba che si respira in questi sobborghi. Chi canta qua è tale Hakim Hamadouche suonatore di mandoluth (tipico strumento a corde del Maghreb) che accompagnato dal suo strumento, bassi r’n’b e battiti di mani da vita a un connubio tra dub e musica tradizionale araba.

L’influenza statunitense la troviamo nelle prime due tracce del secondo lato “Come to me” e “Murder Weapon”. La prima è una love song nelle vesti di un vero e proprio finger-popping jazz che fa tanto chiusura locale in quel di New Orleans, da ascoltare con un po’ di whiskey per chiudere in bellezza la serata. La seconda è l’ennesimo riferimento alle armi che troviamo nel disco. Qua Tricky si aiuta campionando la celebre “Peter Gunn Theme” del compositore statunitense Henri Mancini. Il giro di basso si alterna ad una armonica campionata e al cantato per una tipica gangster song!
Time to Dance” è il pezzo più classicamente alla Tricky dell’album. Una dance song minimale, sensuale, raffinata in cui troviamo una base danzereccia molto asciutta di bassi che fa da sfondo alla voce femminile di Franky Riley, compagna di avventure nelle tournee live del nostro DJ.

Concludiamo con le due canzoni “inglesi”. “Really Real” è quanto di più english old-school dance possiamo trovare. E’ qua ospite tale Bobby Gillespie soltanto lead-singer e co-fondatore di una piccola band che ha conosciuto notorietà negli anni ’80….i Primal Scream. Il pezzo che ne viene fuori sembra appena uscito da Screamadelica…chiudendo gli occhi ci ritroviamo tra faccine sorridenti a ballare nella storica Hacienda di Manchester il tutto senza quel patetico odore di nostalgia che rischiano di avere collaborazioni con certi mostri sacri.
Bristol to London” è infine il classico hip-hop incazzato da strada in cui regna un synth, una base three staggered e un forte accento anglo-giamaicano che chiude e completa la serie di influenze sonore della underground london.

 LINK:  Tricky - Murder Weapon

martedì 14 dicembre 2010

Shackleton - fabric 55 - (2010)

di Matteo Machetti


Nessuno di voi ha mai assistito per caso ad una performace live di Shackleton?
Io purtoppo no, ma vi assicuro che ascoltare Fabric 55 e qualcosa di unico, e mai, prima di ora, le vostre orecchie si sono avvicinate ad una prospettiva simile. Il maestro enigmatico , rielabora gli elementi più potenti delle sue record in un sorprendente quanto primordiale rito sciamanico, lo variopinge di percussioni e voci provenienti dalla piu profonda  foresta amazzonica, che ancora oggi come ormai dal suo trasferimento si accosta perfettamente alle estiteche berlinesi.


Al primo ascolto ti rendi subito conto chi hai di fronte, Schack sembra avere il controllo totale di ogni strumento, oltre alle atmosfere impeccabili, di sua creazione, il mix ti rapisce senza lasciarti il tempo di voltarti.
Fabric 55 opera in una dimensione della dancefloor molto speciale, sono ritmi psichedelici che si trasformano in un mix esclusivo di materiali inediti. Ciò la rende una delle performance piu esclusive del panorama mondiale


Non ho altro da aggiungere, questo natale sarà il diavolo ha farvi il regalo, ecco a voi la sua anima...

domenica 12 dicembre 2010

Sigur Ros - Popplagio __ extract from DVD Heima

Di Mathia Pacenti
 


Hopelandic, una lingua creata per dare forma a un viaggio ipnotico, oppure come dice la parola stessa una "speranza" che proviene da una terra del fuoco nordica nel quale il paesaggio rimasto inalterato ai primordi della creazione dona a chi la vive una misteriosa attitudine nell'insegnare l'amore per il mondo.
Prendete un uomo prevalentemente vestito di nero,cieco per meta',un archetto da violoncellista usato per accarezzare le corde della chitarra e una voce celestiale che sbatte sulle valli remote di Reykjavik frammenti di "echoes pinkfloydiane" e riverberi deep scandinavi.
Questi sono i Sigur Ros, nome che deriva dalla figlia di uno dei membri della band, la piccola Sigurros,Rosa della Vittoria, avamposto europeo di un genere volgarmente definito post rock, in realta' la colonna sonora di una vita, l'introspezione di uomini alla ricerca della verita', inno di qualsiasi evento raffigurante la forza della natura, una spinta a conoscere una piccola isola dominata da ghiacci, vulcani e geyser. Popplagio si propone quale sicuro cavallo di battaglia di questo gruppo di artisti che in Heima mostrano l'Islanda in un tour casalingo che inizia con la luce e finisce con la luce...

giovedì 9 dicembre 2010

Miles Davis - All Blues - Kind of Blue (1959)

Di Matteo Machetti

f

Kind of Blue, realizzato da Miles Davis nel 1959, è un album entrato di diritto nella storia del jazz, essendo stato fra i più venduti di sempre ed uno dei primi esempi di modal jazz. La celebre rivista musicale Rolling Stone, in una classifica sui 500 migliori album di ogni tempo stilata da artisti come The Edge e Bill Ward, classificò Kind Of Blue al 12esimo posto.

Se qualcuno vi chiedesse stupidamente: qual' è il vostro pezzo Jazz preferito? cosa rispondereste? Io, in tutti gli altri generi musicali, avrei sicuramente bisogno di minuti, forse ore prima di rispondere, e forse non sarei nemmeno in grado di dare una risposta;  fatto stà, che a quella domanda sul Jazz, sarà pure che non sono cosi' esperto di Jazz, ho la risposta immediata ed è senz'altro "All Blues".
Provate per un attimo a sedervi in un comodo divano, con davanti due belle casse degne di nota, e iniziare la sequenza incredibile di strumenti che si susseguono attorno alla maestria della tromba di Miles. Tutto cio' se risucirete a coglierlo potra', sia avvicinarvi ad un genere che per il momento consideravate anonimo, oppure, se sarete cosi' ispirati, vi troverete catapultati nella New York del 1959, in una sedia a vostra scelta del Blue Note sulla 131 West 3rd Street in mezzo ai veri maesri di questo genere. Fatemi sapere.

Eno - Hopkins - Abrahams "Small Craft on a Milk Sea" - 2010 Warp

Di Alessandro Anselmi






Come da un balcone affacciato sulla luna, osservo il deserto davanti a me. La mente visualizza paesaggi immobili, deserti freddi ma non ostili....Il signor Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno torna invece sulla terra e va a far visita ai parenti. Figli quasi, artisticamente parlando sono tutti figliastri suoi alla Warp Records. Una specie di ritorno a casa che mi rende felice. Un' etichetta che non ha bisogno di presentazioni da parte mia. Si potrebbe scrivere un libro a parte. Se non ne sapete nulla (dopo aver fatto penitenza) fatevi un giro qui: www.warp.net 
Dicevo, Eno ritorna, non da solo come vedete ma accompagnato da musicisti della Ambient Generation 2.0: Hopkins e Abrahams, a sei mani buttano giù questi brevi sketches che compongono il disco (15 brani, 50 minuti circa).

Le prime note di "Emerald and Lime" ricordano la musica che serviva a "riempire" gli aeroporti. Leggere linee melodiche che si ripetono, lasciando spazio alla nostra mente, dicendo meno di quello che lasciano immaginare. Poi arrivano i beats, e anche quelli sono mutanti e poco convenzionali. Io resto fermo e mi lascio trasportare. La pace finisce però in "Flint March" così come nel finale di "2 Forms of Anger" è la chitarra "noisy" di Abrahams che squarcia il pezzo, scorie industriali che ci riportano subito con i piedi per terra. Mentre "Paleosonic" cresce e ci porta di nuovo su. L'album vive di questi sbalzi d'umore e io ci sono dentro. Elencare tutte le tracce sarebbe superfluo, dico solo che un pezzo come "Lesser Heaven" ha bisogno solo di essere ascoltato.

Un disco che richiede tempo, un disco che se suonato al momento giusto non vi deluderà. Musica adatta per la decompressione, magari quella post-party. Musica per camere iperbariche. Musica per i pesci, musica che vi fornirà il liquido amniotico dove galleggiare, musica che stenderà una strato isolante sulla vostra mente. Piacevolmente storditi vi ritroverete a fissare il vuoto, a salire e scendere con i solchi del disco. Il consiglio è quello di mettere la puntina sul disco e sprofondare in poltrona. Dopo circa un'oretta sarete rientrati dal vostro panorama lunare e vi ritroverete a far parte dell'arredamento. 
Tracklist:
01 – Emerald and Lime
02 – Complex Heaven
03 – Small Craft on a Milk Sea
04 – Flint March
05 – Horse
06 – 2 Forms of Anger
07 – Bone Jump
08 – Dust Shuffle
09 – Paleosonic
10 – Slow Ice, Old Moon
11 – Lesser Heaven
12 – Calcium Needles
13 – Emerald and Stone
14 – Written, Forgotten
15 – Late Anthropocene
16 – Invisible

Song to the siren - (4AD, 1984)

di Matteo Machetti


In questo caso piu' che una canzone stiamo parlando di un mondo immaginario. Siamo nel corso degli anni 80,  i This Mortal Coil riescono con la loro musica a far vivere suggestive atmosfere ultraterrene, che sino ad oggi, solo il maestro David Lynch aveva raggiunto con la pellicola. Non è a questo punto difficile immaginarsi l'unione delle due "belle arti" in un grottesco, quanto spettacolare film, del regista del Montana, in cui rende omaggio a Song to the Siren in una scovolgente scena del film Strade Perdute. Qui, apro una parentesi, per dire che "Strade Perdute" è un film da vedere anche addormentati, tanto siete troppo stupidi per capirlo, siete inutili insetti che verranno schiacciati  senza pietà... Buon Ascolto
LINK:Lost Highway: Alice and Pete 




(Tim Buckley/Larry Beckett)
Long afloat on shipless oceans
I did all my best to smile
til your singing eyes and fingers
Drew me loving to your isle
And you sang
Alla deriva in mari deserti
facevo del mio meglio per sorridere
fino a che le tue dita e i tuoi occhi ridenti
non mi hanno attirato verso la tua isola
e tu cantavi
Sail to me
Sail to me
Let me enfold you
Here I am
Here I am
Waiting to hold you
"Fai vela verso di me
fai vela verso di me
lascia che ti stringa tra le mie braccia
io sono qui
io sono qui
ti sto aspettando per averti"
Did I dream you dreamed about me?
Were you hare when I was fox?
Now my foolish boat is leaning
Broken lovelorn on your rocks,
For you sing, touch me not, touch me not, come back tomorrow:
O my heart, o my heart shies from the sorrow
E' stato un sogno o tu sognavi me?
Eri tu la lepre ed io ero la volpe?
Ora la mia stupida barca sta accostando
innamorati infelici (si sono) infranti suoi tuoi scogli
perché tu canti "non toccarmi, non toccarmi, ritorna domani"
oh il mio cuore, oh il mio cuore rifugge dal dolore
I am puzzled as the newborn child
I am troubled at the tide:
Should I stand amid the breakers?
Should I lie with death my bride?
Hear me sing, swim to me, swim to me, let me enfold you
Here I am, here I am, waiting to hold you
Sono confuso come un bimbo appena nato
sono turbato di fronte alla marea:
Rimarrò tra quelli che si sono infranti?
Mi stenderò con la morte come mia sposa?
Puoi ascoltarmi cantare: "Nuota verso di me, nuota  verso di me, lascia che ti stringa tra le mie braccia
ti sto aspettando per averti"

mercoledì 8 dicembre 2010

Archive - Again (2002)

di Matteo Machetti

Again - Archive
Tratto da: You all look the same to me - East West Records (2002)