venerdì 16 dicembre 2011

Liquid Liquid (Grand Royal,1997) - FileUrbani@Radio 3

Di Matteo Machetti


Succede tutto in un lampo, un infortunio al ginocchio, un tuo amico che da molto non vedevi, una trasmissione di nome FileUrbani su Radio 3 che sembra fatta apposta per te, e in fine New York. 
Se ne vanno a spasso per il mondo, due giorni del weekend dedicati alla musica di una città, ogni settimana in una  diversa, il tutto alle 10,00 di sabato e domenica mattina su Radio 3.

Accendi e sei a New York, niente Manhattan quella ne abbiamo già sentito parlare abbastanza, entriamo subito nei veri posti più profondi ed artistici che il contorno fornisca. Informazioni preziose di origine mondana, sia attuali che storiche, musica pescata dall'origini ai giorni nostri, con molto spontaneità ed una visione totale, a parer mio.

Inevitabile che si parli del Punk, succede che si parli della Disco, ma non è scontato che si possa parlare di un gruppo che si inserisce nel così definito Post Punk - Post Disco.
Parlo dei Liquid, una band che vanta una dozzina di canzoni nell'arco temporale di 6 anni. Solo 3 singoli, racchiusi nell'album Liquid Liquid (Grand Royal,1997). Una delle band che maggiormente è riuscita a colmare il divario tra la New Wave del rock e il Funk avanguardista, entrambi prodotti dell'avanguardia di New York.
Per voi qualcosa che mi fa sembrare La Grande Mela più vicina…


venerdì 9 dicembre 2011

The XX - XX (2009)

Di Mathia Pacenti


You've applied the pressure
To have me crystalised
And you've got the faith
That I could bring paradise

I'll forgive and forget
Before I'm paralysed
Do I have to keep up the pace
To keep you satisfied

Things have gotten closer to the sun
And I've done things in small doses
So don't think that I'm pushing you away
When you're the one that I've kept closest

[ahh ahh ahh] x4

You don't move slow
Taking steps in my directions
The sound resounds, echo
Does it lesson your affection
No

You say I'm foolish
For pushing this aside
But burn down our home
I won't leave alive

Glacies have melted to the sea
I wish the tide would take me over
I've been down on my knees
And you just keep on getting closer

[ahh ahh ahh] x4

Glacies have melted to the sea (Things have gotten closer to the sun)
I wish the tide would take me over (And I've done things in small doses)
I've been down onto my knees (So don't think that I'm pushing you away)
And you just keep on getting closer (When you're the one that I've kept closest)

Gli era già successo di perdere la testa per qualcuna, ma mai di sentirsi decapitato.Gli ci vollero tre feste solo per capire che il suo nome non era Joel.DFW.

Advised by Mathia Pacenti


lunedì 6 giugno 2011

Fleet Foxes - Helplessness Blues (Sub Pop)

Di Giacomo Bellini


 

Robin Pecknold e Skyler Skjelset sono due sopravvissuti a quell’olocausto nucleare anche noto
come “Punk”. Mentre tutto il mondo era in preda a spille, borchie e creste si sono rintanati in un
rifugio anti-atomico, nutrendosi di Bob Dylan, Hank Williams, The Band, Crosby Still Nash e
l’immancabile Neil Young. Rimasti così al riparo dalle radiazioni che hanno portato a New Wave,
Grunge, Post-Punk e quant’altro quando sono usciti a fine primo decennio del nuovo millennio ci
hanno portato questi due album dai sixties incontaminati dalle nuove correnti musicali di questi
ultimi 40 anni. Questa è l’unica spiegazione che riesco a dare all’uscita di un gruppo del genere in questi anni.

Sembra invece che Robin e Skyler siano due ragazzi del nord-ovest degli US poco più che
ventenni. In un’epoca in cui la contaminazione elettronica è sempre più invadente, specialmente dell’universo “Indie” in cui l’innovazione e la sperimentazione sono la stella cometa da seguire, loro hanno fatto un drastico passo in dietro di una quarantina d’anni rifiutando l’utilizzo di intetizzatori e campionamenti vari imbroccando una strada fatta di chitarre acustiche, cori, percussioni e, sporadicamente, un flauto o un violino nella più classica delle tradizioni Folk americane.

Sin da “Montezuma”, primo pezzo di questo secondo album, si è trasportarti in quell’atmosfera
tipica del nord-ovest americano reso celebre da Twin Peaks ad inizio anni ’90. Cullati da cori
polifonici, caratteristica principale delle Volpi, ci ritroviamo a passeggiare nel mezzo a immensi
boschi di conifere indossando una pesante camicia di flanella e con una lunga barba da sfoggiare (non a caso il look dei nostri) in cui il tempo è scandito da una soffice percussione in sottofondo e la melodia nell’aria non è che un semplice arpeggio di chitarra. Il disco risulta molto compatto e i brani hanno tutti più o meno lo stesso stile…in qualcuno sono le percussioni in rilievo (Battery Kinzie), in altri ancora è la voce di Robin (Montezuma), in altri la chitarra (Helplessness Blues) e nella maggior parte sono i cori a farla da padroni.

Detto questo la torta sul davanzale si dovrebbe essere raffreddata, l’assassino di Laura Palmer
catturato, non vi resta che godervi questa piccola chicca degli anni sessan…ehm…2000.

mercoledì 18 maggio 2011

Bob Dylan - Don't Think Twice, It's All Right - 1963

 di Matteo Machetti


Il Sogno Americano

Oggi mi sono svegliato con un motivetto che non riesce più ad andare via dalla  mia testa, forse sarà perché si tratta di Bob Dylan o forse perché proprio non voglio respingerlo, sento che mi sta ricordando qualcosa di magico, ma chissà cosa...

Dylan sono molti anni ormai che "l'ho conosciuto", e di volte che l'ho canticchiato non ricordo nemmeno quante ci sono state,  ma  è nella lontana america dove ho avuto l'onore di avvicinarlo fino al punto di sognarci insieme.
Sono passati ormai piu di 2 anni dal mio viaggio per le strade del Blues, al volante della fiammante Chevrolet 3000 benzina, sulle lunghe e infinite route che si protraggono da Chicago a New Orleans, in dolce compagnia di amici veri  con lo spirito libero e il coraggio del migliore Kerouac dei giorni nostri.

Ogni miglio diventa un millimetro accompagnati da quell'incredibile voce che sembra provenire con stupefacente naturalezza dal paesaggio e le strade che ci circondano. Alla guida si ha come la percezione di non conoscere il traguardo, si avverte nell'aria che ogni cosa sia al posto giusto.

E' tutto perfetto quando Dylan prova a dirci "Don't Think Twice It's All Right" (Non pansarci due volte, va tutto bene) ed io cosi' ho fatto, senza il minimo sforzo venivo trasportato in questo nuovo continente tutto da scoprire. Ed è questo, come avrete gia immaginarto da soli,  il luogo esatto dove riesco a proiettarmi ogni volta che ascolto questa magnifica canzone.

 Non ricordo nemmeno se fossi nel Tennesse o nel Mississipi ma ricordo come fosse ora le sue parole e quella forte sensazione; come se provenisse esattamente dal palco dove ero seduto anch'io, attivo e partecipe in questo magnifico sogno americano.

A voi: Don't Think Twice, It's All Right.mp3

lunedì 2 maggio 2011

Burial "Street Halo" EP - Hyperdub 2011

Di Alessandro Anselmi

Another night inside.
L'uomo nero è tornato. Tutti quelli che hanno amato i suoni non convenzionali e poco allineati con quel "non genere" chiamato Dubstep di "Burial" (2006) ed "Untrue" (2007) lo stavano aspettando, io anche.
Siamo alla fine di Marzo, riesco ad intercettare Kode9 ospite al Benji B Show, BBC Radio 1. Come promesso, suona due dei tre pezzi contenuti in questo EP. Sono quasi le 4 del mattino, gli occhi bruciano davanti al monitor, ho sonno. 
Ottimi presupposti per godersi la musica di Burial. 
Mi sono agganciato subito a "Street Halo", fin da quella notte è un piacere farsi portar via. La cassa viaggia dritta ed i sub-bassi vibrano a dovere ma il martellamento è subliminale, lo sferragliamento di un treno che passa dietro casa potrebbe essere un buon paragone. Il sample della voce femminile che arriva a pochi secondi dall'inizio è oscuro e meraviglioso come nelle sue migliori creazioni. Un grande lato A.
Giriamo e rallentiamo, siamo nel profondo della notte, questa si chiama "NYC". Siamo vicini al ritmo zoppicante del 2Step, condito da suoni industriali, dosi di ambient-music e samples vocali dall'aldilà. Piove anche, sembra di sentire l'eco di un temporale da qualche parte all'interno della traccia. Secondo me una cosa ricorrente in molte sue produzioni, è forse solo la mia immaginazione?
Si chiude con "Stolen Dog" e si chiude alla grande. Con il passare del tempo è diventata la mia preferita, la cassa dritta tipo "Street Halo", tre note, due samples vocali che sussurrano cose bellissime e si rincorrono per tutta la durata del pezzo. Anime perdute che sembrano cercarsi, domande e risposte che non sapremo mai. 
Pensare che Burial riesce a fare tutto questo con il suo Laptop seduto sul divano è spiazzante e mi fa sentire un incapace. 
La sua musica è semplicemente bella, parla direttamente al nostro inconscio ed è come se venisse a noi piena delle nostre memorie. Notturna come poche altre, si sublima nel mio dormiveglia.


Young Marble Giants – Colossal Youth (Rough Trade)

Di Giacomo Bellini


In genere siamo portati a trattare la storiografia musicale attraverso i grandi mostri sacri quali Rolling Stones, Bob Dylan, Pink Floyd, The Who e via dicendo. Gruppi o artisti che hanno alle loro spalle discografie enormi, che hanno attraversato e influenzato svariate epoche e in alcuni casi hanno dato inizio a nuove epoche. Mostri Sacri appunto. La storia della Musica (con la M maiuscola) però è fatta anche da band che hanno lasciato un segno tangibile e portato a profonde innovazioni (musicali e non) avendo regalato al mondo un solo album. One Shot. Band esplose con un disco (massimo due), il primo e poi più nulla…scompaiono, finisce la magia e di quel gruppo non se sente più parlare. Un solo atto per restare immortali. Possiamo annoverare tra questa particolare categoria gruppi come Television e il loro Marquee Moon, Stone Roses con il loro album omonimo e, come potete intuire dal titolo, gli Young Marble Giants con il loro Colossal Youth.

Siamo nel 1980, in un Inghilterra ancora sconvolta dall’esplosione “punk” di pochi anni prima si sta vivendo una sorta di seconda fase della rivoluzione. Se in un primo tempo il “movimento” aveva scosso il mondo da un punto di vista sociale con il messaggio “No Future” fatto di autodistruzione, completa perdita di qualsiasi cosiddetto valore morale, odio verso qualsiasi autorià, dal punto di vista musicale non aveva portato grandi innovazioni ma era stato più che altro un ritorno alle sonorità grezze, semplici del rock’n’roll primi anni 60 di Jerry Lee Lewis, Sonics, come a volersi staccare nettamente dalla musica di quegli anni ormai troppo complessa e pomposa per lo stile del Do It Yourself. Questa spinta alla libertà creativa incondizionata in ogni campo portò alla già citata seconda fase del punk e meglio nota come “post-punk”. L’obiettivo adesso non è più rompere con il recente passato ma creare un nuovo presente. Ecco che come forse solo nella germania del kraut si da importanza solo al nuovo, al mai sentito anche a costo di produrre suoni fastidiosi e inascoltabili. Non è questo il caso degli Young Marble Giants che in questo contesto si distinguono per il loro sound ultra-minimale.








Fondata da Stuart Moxham (chitarra) con suo fratello Phil (basso) e la ragazza di quest’ultimo Allison Statton (voce), la band è concepita come una ulteriore ribellione al punk. Si contrappone infatti a questo fenomeno confusionario e disordinato con le armi della calma, della rilassatezza e dell’ordine. La musica dei YMG è infatti costituita per lo più da una linea di basso che resta quasi costante per tutta la durata del pezzo sopra cui gioca la chitarra di Stuart con riff secchi e brevi salvo ogni tanto dare spazio ad un organetto. Su questo letto di minimalità musicale si adagia la flebile e svogliata voce di Allison…un non-canto lo si potrebbe definire che però è la vera particolarità del gruppo.

 Grazie a Rough Trade (regina incontrastata dell’underground di quel periodo) riescono a far nascere la loro unica opera Colossal Youth che costituirà per l’etichetta londinese il record di vendite per un album per molto tempo. Colossal Youth può benissimo candidarsi ad album perfetto. Non si ha una pausa, una flessione ma resta, con quel suo stile così semplice così minimo, regolare e magnifico. La voce suadente di Allison ci culla mentre il sottofondo musicale dei fratello Moxham ci trasporta in questa atmosfera bohemien e benché produzione totalmente britannica è impossibile non sentirsi a Parigi (sarà anche per qualche verso in francese). Una sorta di versione con strumenti tradizionali e voce umana di Trans Europe Express dei Kraftwerk se non altro per la freddezza e la matematica regolarità dei pezzi. “Colossal Youth”, “Searching For Mr Right” e “Music for Evenings” suonano ancora, a più di trent’anni di distanza, terribilmente moderni che sembrano usciti da una qualche colonna sonora per un qualche film indipendente in concorso al Sundance. “N.I.T.A.” e “The Man Amplifier” contengono il seme da cui sono nati gli Sterolab.
 
C’è adesso solo da scopire perché una band che ha riscosso tanto successo al momento della sua uscita e che ha portato alla nascita di band come XX (forse i veri eredi), Stereolab, Belle & Sebastian si sia poi dissolta nel nulla. E’ presto detto. Liti tra fratelli o discussioni per una donna sono due tra le principali cause. Loro erano due fratelli e la ragazza di uno dei due, sono durati anche troppo. Stuart non ha mai amato la voce di Allison, colpevole secondo lui di non saper cantare (ed in effetti lei non cantava), non riconoscendone il vero valore ha finito per portare alla separazione della band.


Così canta la Statton in “Final Day” (singolo che l’unica altra opera lasciataci)

When the light goes out on the final day/We will be gone having had our say”

Così hanno fatto detta la loro sono scomparsi…


giovedì 14 aprile 2011

JOAN AS POLICE WOMAN - Flash

Di Matteo Machetti





Molti di noi compreso io, consideriamo il lunedì come un giorno in cui la routine la fa da padrone, un giorno in cui spesso non pensi di uscire almeno che non sei un parrucchiere...

Bene...un lunedì di Marzo sono uscito alla volta del teatro Odeon di Firenze.

Circa un mese prima avevo letto una accattivante recensione su Blow Up di questo The Deep Field, appena uscito dalle mani di questa donnaccia di NY, che tra le altre cose aveva, già collaborato con i vari Nick Cave, l'angelo Antony, il nostro Battiato e meglio nota come ultima fidanzata di Jeff Buckley.
Di Joan Wasser, per la verità, mi ero già gustato il suo precedente album intitolato Cover, dove ne avevo già ammirato le doti nel rivisitare dieci tasselli essenziali della musica rock, su tutti, non posso far a meno di citare la splendida Keeper Of The Flame, con una sanguigna e profonda scoperta di una lato soul-blues di questo fantastico brano della grande madrina Nina Simone.

Il tutto ha fatto si' che vi scrivessi, da questa comoda poltrona della platea del teatro Odeon.

Giù il sipario si comincia: pantaloni di pelle, scuri, luccicanti e nerissimi, t-shirt attillata, sempre scura ma di stile, frangia prorompente, che disegna un viso con un anima dichiaratamente rock.
Partiti iniziamo con la vena rock del disco, si parte subito con The Magic singolo e video del disco, ma non è della scaletta che voglio parlare.
Innanzi tutto, ci metto un po' ad ambientarmi, devo ammettere che la falsa riga rock moderno non riesce a scalfirmi a sufficienza, siamo alla terza traccia e tuttavia non ho trovato la chiave di accesso.
Ma, ecco arrivare il Flash!! ( é il momento di cliccare play sotto)
Per l'appunto è proprio il titolo della canzone, quarta del disco e il primo dei meravigliosi lenti chitarra/voce di cui ci saprà deliziarci Joan in questa serata fiorentina.
Improvvisamente è tutto più lento, dolce, le luci sono soffuse, la chitarra e' solamente una, di cui l'arpeggio si fa morbido e ripetitivo, il riff è di quelli che non credi conosca una fine, il tutto in una atmosfera magica decorata dalla profonda e mai banale voce.
Le note volano tra lo stupore e il silenzio di un pubblico attento, che fino ad ora non era stato chiamato in causa.
Improvvisamente è come se la mia poltrona diventasse un amaca in mezzo alle palme di un isola tropicale con una pace cosi cristallina da aver paura di svegliarsi di colpo.
Sto nel mentre aggiungendo al genere soul di cui sopra, la parola psichedelica, credo sia soggettiva ma, in un certo modo appartenga a questa mia visione e a questa/o Flash che come una poliziotta che si rispetti mi ha ammanettato alla sedia di questo accogliente teatro.
Tengo a precisare di non aver incrementato le mie doti di estro con fresche o frasche erbe del vicino...

martedì 12 aprile 2011

God Is An Astronaut - All Is Violent, All Is Bright - 2005 - Revive Records

Di Mathia Pacenti







Esattamente mezzo secolo fa l'uomo metteva per la prima volta piede fuori dall'atmosfera terrestre.
Perche' non gli è venuta la brillante idea di uscire a rimirar le stelle con tutte e due le gambine e andarsene.
Il mondo avrebbe avuto la possibilita' di sopravvivere e non soffocare sommerso da tutte le nostre follie...
Cazzo!!
Perche' Dio è un Astronauta!!
E' un Dio in collera che chiede di ascoltare il suono dell'universo post rock per cambiare, rallentarci, meditare.
Che la creativita' e la musica siano ispirate dal desiderio di restare uniti e aprire i nostri sensi all'amore, al rispetto e alla sola legge del suono.
Un sogno irrealizzabile.
Come riuscire ad assistere ad un concerto live di questi ragazzi irlandesi che preferiscono esibirsi in piccoli spazi, direi "secret gigs"; per regalare, nell'intimita' che necessita, visioni di un futuro migliore accompagnate da ritmi intensi e malinconici, che improvvisamente esplodono in rabbia e riff infernali.
In attesa che l'era dell' Acquario ormai alle porte ci regali conoscenza e "nuovi visitatori"...
Il pezzo è tratto dall'album All Is Violent All Is Bright.


God Is An Astronaut - Fire Flies And Empty Skies



mercoledì 30 marzo 2011

Primal Scream "Screamadelica" 1991

Di Alessandro Anselmi
"We wanna be free, we wanna be free to do what we wanna do.."

L'abbattimento definitivo delle frontiere tra rock e musica dance. Così si potrebbe riassumere l'epopea di "Screamadelica". Un lungo viaggio psichedelico con in corpo i suoni e le sostanze di quell'epoca. Vent'anni sono passati e i tempi in cui l'uscita di un disco era un evento sono purtroppo finiti. L'edizione rimasterizzata (ad opera di Kevin Shields) e quella deluxe che vengono messe sul mercato in questi giorni ci danno lo spunto per parlare di questo capolavoro.

"La maggior parte delle band pensa in bianco e nero, noi pensiamo in technicolour" 
B.Gillespie.

Siamo all'alba degli anni novanta, l'incontro che cambia le cose è quello dei Primal Scream con il DJ londinese  A.Weatherall. I primi hanno fatto il loro dovere di rock band scrivendo le canzoni, il secondo le ha portate letteralmente via, smontate, rimontate. Taglia ed incolla. 
Se vogliamo ridimensionare, l'incontro/scontro è quello appunto della testa di Weatherall con quella di Bobby Gillespie (leader dei Primal), fondamentalmente due compulsivi collezionisti di dischi, divoratori di musica prima di tutto. Loro hanno disegnato lo scenario superiore dove stendere queste composizioni. La cosa che colpisce ancora oggi è proprio la bellezza e godibilità di questi pezzi, avercene di dischi così. È come se il gruppo si fosse messo da parte, sacrificando l'egocentrismo da rock band in funzione dell'opera suprema, quella che vale una carriera. Gli ingredienti dosati con assoluta maestria sono un caleidoscopio di House, Dub, Gospel, Soul, Psichedelia, Jazz e Rock in cui è facile entrare e volerne ancora di più. Semplicità, efficacia e coraggio.
È giusto dire che la bomba era in parte già esplosa, i singoli (erano 4: "Loaded", "Come Together", "Higher Than The Sun", "Don't Fight It, Feel It") che avevano anticipato l'album ne avevano svelato la strada oltre che il valore. "Screamadelica" (cosa non così scontata) li proponeva assemblati in una scaletta epocale, e non erano da meno gli inediti. 

Si parte con il pezzo più radiofonico del disco "Movin On Up" ma è la seconda  "Slip Inside This House" che ogni volta mi scuote. Cover dei texani 13th Floor Elevators (un pezzo di storia dei sixties) in versione house e bagnata nel MDMA. Si parte e non si torna più, "Don't Fight it, Feel it" è roba anfetaminica, pericolosa ancora oggi, i super classici "Loaded" e "Come Together" vanno solo ascoltati. "Higher Than The Sun" parla da sola. 
Nonostante, come dicevo sopra, sia un album fatto in gran parte da singoli (e suonati da soli funzionano sempre alla grande), è assolutamente consigliato l'ascolto del disco nella sua interezza. 

"Dopo aver preso droghe molto buone c'è questo sentimento che tutto stia collimando perfettamente, stai sentendo della grande musica e stai ballando, hai questo feeling fantastico e ti sembra che questo possa durare per sempre, ti auguri che la tua vita possa sempre essere così." 
B. Gillespie

Grandi salite e "down" pericolosi, un viaggio unico ed un'pò nostalgico, forse composto con la consapevolezza di un' epoca che si chiudeva.
Dopo vent'anni siamo ancora a parlarne e ad ascoltare, purtroppo capolavori di questa portata non se ne vedono più ma ai Primal Scream la storia ha dato ragione. Un disco classico.


venerdì 25 febbraio 2011

Crocodiles – Sleep Forever (Fat Possum Records)

Di Giacomo Bellini
Sleep Forever” è il secondo album per i californiani Crocodiles, uscito nel settembre del 2010 succede alla loro opera prima “Summer of Hate” venuto alla luce circa un anno prima. Sostanzialmente la ricetta per questo disco è la solita del primo: prendere i Velvet Underground e farli riposare per una ventina d’anni, fin quando dai feedback di Sister Ray non si formano i vari Jesus & Mary Chain, Spacemen 3, My Bloody Valentine e compagnia bella. A questo punto prendere questi gruppi toglierli la depressione fine anni ’80 pre-grunge e con della sana elettronica innestargli quella positività giovanile da anni 2000 tanto cara a Panda Bear e soci. Il risultato è questa pop-rock-indie band sandieghina. 
Il disco composto da otto tracce suona fresco, giovane, contemporaneo come deve essere un album del 2010. Nel primo lato (sì lo so l’idea di lato sta scomparendo ma dato che chi scrive si gode la versione in LP beccatevi sto concetto vetusto) si nota un gusto retrò per quelle sonorità anni ’80 con un pizzico di sixties dovute alle sopracitate influenze. Mirrors e Girl in Black sembrano due pezzi dei Jesus & Mary Chain, mentre Stoned to Death e Hollow Hollow Girls sembrano uscite da qualche oscuro gruppo sixties di Nuggets. Tutto ciò senza mai predere di attualità e risultare antico. 
 

Nel secondo lato i rapporti col passato vengono un po’ meno e le sonorità che ne vengono fuori sono quanto più figlie di un indie-rock alla “Oh Sees” o meglio ancora alla “Sleepy Sun”. Esempio di tutto ciò è la title track che da il via alla seconda facciata. Seguono la rumorosa Billy Speed e le esplosioni sonore di Hearts of Love per terminare con la tranquillità (e dopo una buona mezz’ora di feedback ci vuole anche) di All My Hate and my Hexes are for You che sa tanto di “Stereolab”.
Dunque la ricetta ve l’ho data, vi ho anche detto di cosa sa non vi resta che sedervi e gustare questa leccornia californiana.

lunedì 21 febbraio 2011

Lotus Flower - Radiohead - 2011

Di Matteo Machetti

Vi è mai capitato di assistere ad un essere umano, o presunto tale, che rappresenta i suoni, le ritmiche e rumori come se fossero provenienti dall'interno del suo conscio, con ogni pulsazione ogni minimo acuto che si adatta al corpo stesso. 

Non sto parlando di metafisica, ma di Tom Yorke, di una nuova danza elettrizzante, di una nuova “idioteca” e dei Radiohead che son tornati.
Per voi il video Lotus Flower, tratto dalle 8 traccie già scaricabili di The King Of Limbs al costo di 7 euro. 

Per la realizzazione dovrete quanto meno possedere lo stesso voltaggio e la stessa frequenza, dovrete ricevere le “scosse” giuste, e saperle gestire; senza esagerare mi raccomando, puo risultare pericoloso...
Certo...non aspettativi un ballo facilmente eseguibile, la complessità della musica è inversamente proporzionale ai movimenti che il vostro corpo dovrà assumere. 

In bocca al lupo.

venerdì 11 febbraio 2011

Creedence Clearwater Revival – I heard it through the grapevine

Di Matteo Machetti




I heard it through the grapevine che tradotto significa “Mi è Giunta La Voce” che  quella dei Creedence viene definita musica da viaggio, non tanto perchè sia bella da ascoltare in viaggio, magari anche quello, ma proprio perchè le loro canzoni sono talmente lunghe che con una ti ci fai 50 km di autostrada. Con un album ti ci fai un cost to cost...


Il testo di I heard it through the grapevine che tradotto significa “Mi è Giunta La Voce
Ooh, I bet you’re wondering how I knew
(Scommetto che ti stai chiedendo come ho saputo)
About you’re plans to make me blue
(delle tue intenzioni di farmi diventare triste)
With some other guy that you knew before.
(A causa di un altro ragazzo/tpo che conoscevi da prima)
Between the two of us guys
(tra noi due ragazzi/tipi)
You know I love you more.
(Tu sai che io ti amo di più)
It took me by surprise I must say,
(Devo dire che mi ha colto di sopresa,)
When I found out yesterday.
(Quando l’ho saputo ieri)
Don’t you know that…
(Tu non lo sai…)
(ritornello)
I heard it through the grapevine
(Mi è giunta voce)
Not much longer would you be mine.
(Che non sarai mia per molto tempo ancora)
Oh I heard it through the grapevine,
(Mi è giunta voce)
Oh and I’m just about to lose my mind.
(oh e io sono giusto sul punto di perdere la testa)
Honey, honey yeah.
(tesoro, tesoro, yeah)
I know that a man ain’t supposed to cry,
(Tu sai che un uomo non dovrebbe piangere)
But these tears I can’t hold inside.
(Ma non riesco a trattenare queste lacrime)
Losin’ you would end my life you see,
(Se perdessi te finirebbe la mia vita)
Cause you mean that much to me.
(perchè tu significhi cosi tanto per me)
You could have told me yourself
(Avresti potuto dirmelo tu stessa)
That you love someone else. Instead…
(Che hai trovato qualcun altro. Invece…)
(ritornello)
People say believe half of what you see,
(La gente dice di credere sola alla meta di quello che vedi)
Son, and none of what you hear.
(E a nulla di quello che si sente)
I can’t help bein’ confused
(Non riesco ad essere altro che confuso)
If it’s true please tell me dear?
(Se è vero perchè non me lo dici cara?)
Do you plan to let me go
(Hai intenzione di lasciarmi?)
For the other guy you loved before?
(Per il tipo che amavi prima?)
Don’t you know…
(Non lo sai…)
(ritornello)

mercoledì 5 gennaio 2011

Antony & The Johnsons - Mysteries of Love

Di Matteo Machetti

Stavolta è un angelo a far muovere la mia penna, un angelo di due metri, un omone proveniente dall'underground Newyorkese degli anni 90’ con una storia appassionante da Drag queen. Mi risulta davvero impensabile riuscire a descrivere tramite delle parole quello che la sua voce riesce a trasmettere a qualunque persona sia in possesso di un'anima buona.
Sì, avete capito bene. Proprio dell'anima umana Antony Hegarty ha deciso di stravolgerne i costumi, con un mezzo tecnico folgorante con cui canta la sua natura, il suo mondo; in un modo talmente onesto e diretto da renderlo naturale a chiunque lo ascolti.

Ho scelto una cover - appunto realizzata da Antony & The Johnson - per rendergli omaggio, non  una cover qualunque  intendiamoci, una versione pubblicata in I Feel in Love Whith A Dead Boy LP, eseguita in performance live e scaricabile da iTunes come mp3. Si tratta di un brano di Angelo Badalamenti, dal titolo onirico ideato su misura per una scena celestiale di Velluto Blu  di David Lynch. Già sullo schermo, in Blue Velvet, l’impatto per me fu sconvolgente, ma, sentita cantare dall’estasi emozionale dell’angelo Antony, divenne un qualcosa di "godurioso"... Tutto da assaporare fermi e succubi nel pensiero.

Vi consiglio di non prendere impegni per i prossimi 6 minuti, vi consiglio di sedervi e se preferite chiudere gli occhi. Siate lucidi nel riconoscere la sua voce fino al momento che entrerà nella vostra testa. Essa si farà spazio a tal punto che sarete trasportati da una tenue luce blu, satura di amore e mistero che saprà farvi vivere sentimenti irresistibili.

“Nella vita il vero amore lo si può mancare se si incontra troppo presto o troppo tardi”, se ancora state aspettando o già lo conoscete, non fatevi sfuggire questa occasione... In quella voce potrete sentire tutte le emozioni del pianeta…

A voi quella che per me è la miglior performance live presente sul web di Mysteries of Love – Antony & The Johnson.

lunedì 3 gennaio 2011

Nicolas Jaar - Clown and Sunset

Di Matteo Machetti

Oggi voglio parlare di un giovanotto classe 90, di cognome fà Jarr, è nato a New York per poi trascorrere parte dell'infanzia a Santiago del Cile città di suo padre. Nicolas già a 14 anni, torna a NY e comincia ad occuparsi di musica elettronica organica e a soli 17, i ragazzi di Brooklyn della Wolf and Lamb, pubblicano il suo primo singolo intitolato “The Student EP”.
Il talento davvero non gli manca, ha le idee chiare, i suoi remix suonano davvero qualcosa di molto indipendente e innovativo. Il teenager innocente e curioso di sperimentare il lato elettronico della musica si trova molto rapidamente in giro per i migliori club di Berlino, Parigi e il resto d' europa, a far sentire ciò che bolle nella sua pentola, perché già ,dimenticavo Nico è già ideatore e proprietario della sua etichetta Clown and Sunset insieme agli amici d'infanzia Soul Keita, Nikita Quasim.

I suoi Liveset hanno qualcosa di diverso, sia per il suo raffinato pianoforte , sia per il sax  e sia per le numerose melodie stilose che colpiscono al primo impatto. E' un qualcosa di  nuovo, per il mondo della dancefoor, stavolta ti trovi a muovere la testa ed i BPM sono davvero pochi, massimo si tocca i 120 orari. C'e sempre un basso fantasioso, le sue drum sono un misto di Hip-pop, Nudisco e Deep House, improvvisamente ti trovi Mulatu Astatke in mezzo, suo grande amico, e hai la sensazione che le due cose siano nate insieme
Il risultato è un suono “chic” tutto fatto in casa con stile e tecnica sopraffina, un perfezionista del sequencer, in questo caso Ableton, e un gusto e un eleganza tipica della Bleecker street newyorkese.

Personalmente frequento club, ho vissuto gli anni chiamiamoli cosi',della techno minimal, movimento ormai saturo con rare ondate di rilievo se non nei meandri dove essa nasce. Avevo bisogno di qualcosa che in qualche modo riuscisse a mutare la fisionomia delle sale da ballo. Mr Jaar, fin da subito.ha colpito. Ho visto nella sua musica, un atmosfera beata, in cui c'è spazio per tutti, i cocktail sono freschi e deliziosi, la facce sono tutte distese e le teste si muovono con regolarità ma più lente del solito. Ragazzi miei, forse penserete che sono invecchiato... non credo proprio, voglio solo presentarvi un artista di cui ne sentirete parlare.

Ne approfitto anche per dirvi che il nostro amico sarà in Italia per l'unica data il 28 Gennaio al Locomotiv Club a Bologna.






Nicolas Jaar / Materials (Circus Company 2010) by Clown and Sunset