mercoledì 18 maggio 2011

Bob Dylan - Don't Think Twice, It's All Right - 1963

 di Matteo Machetti


Il Sogno Americano

Oggi mi sono svegliato con un motivetto che non riesce più ad andare via dalla  mia testa, forse sarà perché si tratta di Bob Dylan o forse perché proprio non voglio respingerlo, sento che mi sta ricordando qualcosa di magico, ma chissà cosa...

Dylan sono molti anni ormai che "l'ho conosciuto", e di volte che l'ho canticchiato non ricordo nemmeno quante ci sono state,  ma  è nella lontana america dove ho avuto l'onore di avvicinarlo fino al punto di sognarci insieme.
Sono passati ormai piu di 2 anni dal mio viaggio per le strade del Blues, al volante della fiammante Chevrolet 3000 benzina, sulle lunghe e infinite route che si protraggono da Chicago a New Orleans, in dolce compagnia di amici veri  con lo spirito libero e il coraggio del migliore Kerouac dei giorni nostri.

Ogni miglio diventa un millimetro accompagnati da quell'incredibile voce che sembra provenire con stupefacente naturalezza dal paesaggio e le strade che ci circondano. Alla guida si ha come la percezione di non conoscere il traguardo, si avverte nell'aria che ogni cosa sia al posto giusto.

E' tutto perfetto quando Dylan prova a dirci "Don't Think Twice It's All Right" (Non pansarci due volte, va tutto bene) ed io cosi' ho fatto, senza il minimo sforzo venivo trasportato in questo nuovo continente tutto da scoprire. Ed è questo, come avrete gia immaginarto da soli,  il luogo esatto dove riesco a proiettarmi ogni volta che ascolto questa magnifica canzone.

 Non ricordo nemmeno se fossi nel Tennesse o nel Mississipi ma ricordo come fosse ora le sue parole e quella forte sensazione; come se provenisse esattamente dal palco dove ero seduto anch'io, attivo e partecipe in questo magnifico sogno americano.

A voi: Don't Think Twice, It's All Right.mp3

lunedì 2 maggio 2011

Burial "Street Halo" EP - Hyperdub 2011

Di Alessandro Anselmi

Another night inside.
L'uomo nero è tornato. Tutti quelli che hanno amato i suoni non convenzionali e poco allineati con quel "non genere" chiamato Dubstep di "Burial" (2006) ed "Untrue" (2007) lo stavano aspettando, io anche.
Siamo alla fine di Marzo, riesco ad intercettare Kode9 ospite al Benji B Show, BBC Radio 1. Come promesso, suona due dei tre pezzi contenuti in questo EP. Sono quasi le 4 del mattino, gli occhi bruciano davanti al monitor, ho sonno. 
Ottimi presupposti per godersi la musica di Burial. 
Mi sono agganciato subito a "Street Halo", fin da quella notte è un piacere farsi portar via. La cassa viaggia dritta ed i sub-bassi vibrano a dovere ma il martellamento è subliminale, lo sferragliamento di un treno che passa dietro casa potrebbe essere un buon paragone. Il sample della voce femminile che arriva a pochi secondi dall'inizio è oscuro e meraviglioso come nelle sue migliori creazioni. Un grande lato A.
Giriamo e rallentiamo, siamo nel profondo della notte, questa si chiama "NYC". Siamo vicini al ritmo zoppicante del 2Step, condito da suoni industriali, dosi di ambient-music e samples vocali dall'aldilà. Piove anche, sembra di sentire l'eco di un temporale da qualche parte all'interno della traccia. Secondo me una cosa ricorrente in molte sue produzioni, è forse solo la mia immaginazione?
Si chiude con "Stolen Dog" e si chiude alla grande. Con il passare del tempo è diventata la mia preferita, la cassa dritta tipo "Street Halo", tre note, due samples vocali che sussurrano cose bellissime e si rincorrono per tutta la durata del pezzo. Anime perdute che sembrano cercarsi, domande e risposte che non sapremo mai. 
Pensare che Burial riesce a fare tutto questo con il suo Laptop seduto sul divano è spiazzante e mi fa sentire un incapace. 
La sua musica è semplicemente bella, parla direttamente al nostro inconscio ed è come se venisse a noi piena delle nostre memorie. Notturna come poche altre, si sublima nel mio dormiveglia.


Young Marble Giants – Colossal Youth (Rough Trade)

Di Giacomo Bellini


In genere siamo portati a trattare la storiografia musicale attraverso i grandi mostri sacri quali Rolling Stones, Bob Dylan, Pink Floyd, The Who e via dicendo. Gruppi o artisti che hanno alle loro spalle discografie enormi, che hanno attraversato e influenzato svariate epoche e in alcuni casi hanno dato inizio a nuove epoche. Mostri Sacri appunto. La storia della Musica (con la M maiuscola) però è fatta anche da band che hanno lasciato un segno tangibile e portato a profonde innovazioni (musicali e non) avendo regalato al mondo un solo album. One Shot. Band esplose con un disco (massimo due), il primo e poi più nulla…scompaiono, finisce la magia e di quel gruppo non se sente più parlare. Un solo atto per restare immortali. Possiamo annoverare tra questa particolare categoria gruppi come Television e il loro Marquee Moon, Stone Roses con il loro album omonimo e, come potete intuire dal titolo, gli Young Marble Giants con il loro Colossal Youth.

Siamo nel 1980, in un Inghilterra ancora sconvolta dall’esplosione “punk” di pochi anni prima si sta vivendo una sorta di seconda fase della rivoluzione. Se in un primo tempo il “movimento” aveva scosso il mondo da un punto di vista sociale con il messaggio “No Future” fatto di autodistruzione, completa perdita di qualsiasi cosiddetto valore morale, odio verso qualsiasi autorià, dal punto di vista musicale non aveva portato grandi innovazioni ma era stato più che altro un ritorno alle sonorità grezze, semplici del rock’n’roll primi anni 60 di Jerry Lee Lewis, Sonics, come a volersi staccare nettamente dalla musica di quegli anni ormai troppo complessa e pomposa per lo stile del Do It Yourself. Questa spinta alla libertà creativa incondizionata in ogni campo portò alla già citata seconda fase del punk e meglio nota come “post-punk”. L’obiettivo adesso non è più rompere con il recente passato ma creare un nuovo presente. Ecco che come forse solo nella germania del kraut si da importanza solo al nuovo, al mai sentito anche a costo di produrre suoni fastidiosi e inascoltabili. Non è questo il caso degli Young Marble Giants che in questo contesto si distinguono per il loro sound ultra-minimale.








Fondata da Stuart Moxham (chitarra) con suo fratello Phil (basso) e la ragazza di quest’ultimo Allison Statton (voce), la band è concepita come una ulteriore ribellione al punk. Si contrappone infatti a questo fenomeno confusionario e disordinato con le armi della calma, della rilassatezza e dell’ordine. La musica dei YMG è infatti costituita per lo più da una linea di basso che resta quasi costante per tutta la durata del pezzo sopra cui gioca la chitarra di Stuart con riff secchi e brevi salvo ogni tanto dare spazio ad un organetto. Su questo letto di minimalità musicale si adagia la flebile e svogliata voce di Allison…un non-canto lo si potrebbe definire che però è la vera particolarità del gruppo.

 Grazie a Rough Trade (regina incontrastata dell’underground di quel periodo) riescono a far nascere la loro unica opera Colossal Youth che costituirà per l’etichetta londinese il record di vendite per un album per molto tempo. Colossal Youth può benissimo candidarsi ad album perfetto. Non si ha una pausa, una flessione ma resta, con quel suo stile così semplice così minimo, regolare e magnifico. La voce suadente di Allison ci culla mentre il sottofondo musicale dei fratello Moxham ci trasporta in questa atmosfera bohemien e benché produzione totalmente britannica è impossibile non sentirsi a Parigi (sarà anche per qualche verso in francese). Una sorta di versione con strumenti tradizionali e voce umana di Trans Europe Express dei Kraftwerk se non altro per la freddezza e la matematica regolarità dei pezzi. “Colossal Youth”, “Searching For Mr Right” e “Music for Evenings” suonano ancora, a più di trent’anni di distanza, terribilmente moderni che sembrano usciti da una qualche colonna sonora per un qualche film indipendente in concorso al Sundance. “N.I.T.A.” e “The Man Amplifier” contengono il seme da cui sono nati gli Sterolab.
 
C’è adesso solo da scopire perché una band che ha riscosso tanto successo al momento della sua uscita e che ha portato alla nascita di band come XX (forse i veri eredi), Stereolab, Belle & Sebastian si sia poi dissolta nel nulla. E’ presto detto. Liti tra fratelli o discussioni per una donna sono due tra le principali cause. Loro erano due fratelli e la ragazza di uno dei due, sono durati anche troppo. Stuart non ha mai amato la voce di Allison, colpevole secondo lui di non saper cantare (ed in effetti lei non cantava), non riconoscendone il vero valore ha finito per portare alla separazione della band.


Così canta la Statton in “Final Day” (singolo che l’unica altra opera lasciataci)

When the light goes out on the final day/We will be gone having had our say”

Così hanno fatto detta la loro sono scomparsi…