Oggi mi sono svegliato con un motivetto che non riesce più ad andare via dalla mia testa, forse sarà perché si tratta di Bob Dylan o forse perché proprio non voglio respingerlo, sento che mi sta ricordando qualcosa di magico, ma chissà cosa...
Dylan sono molti anni ormai che "l'ho conosciuto", e di volte che l'ho canticchiato non ricordo nemmeno quante ci sono state, ma è nella lontana america dove ho avuto l'onore di avvicinarlo fino al punto di sognarci insieme. Sono passati ormai piu di 2 anni dal mio viaggio per le strade del Blues, al volante della fiammante Chevrolet 3000 benzina, sulle lunghe e infinite route che si protraggono da Chicago a New Orleans, in dolce compagnia di amici veri con lo spirito libero e il coraggio del migliore Kerouac dei giorni nostri.
Ogni miglio diventa un millimetro accompagnati da quell'incredibile voce che sembra provenire con stupefacente naturalezza dal paesaggio e le strade che ci circondano. Alla guida si ha come la percezione di non conoscere il traguardo, si avverte nell'aria che ogni cosa sia al posto giusto.
E' tutto perfetto quando Dylan prova a dirci "Don't Think Twice It's All Right" (Non pansarci due volte, va tutto bene) ed io cosi' ho fatto, senza il minimo sforzo venivo trasportato in questo nuovo continente tutto da scoprire. Ed è questo, come avrete gia immaginarto da soli, il luogo esatto dove riesco a proiettarmi ogni volta che ascolto questa magnifica canzone. Non ricordo nemmeno se fossi nel Tennesse o nel Mississipi ma ricordo come fosse ora le sue parole e quella forte sensazione; come se provenisse esattamente dal palco dove ero seduto anch'io, attivo e partecipe in questo magnifico sogno americano.
L'uomo nero è tornato. Tutti quelli che hanno amato i suoni non convenzionali e poco allineati con quel "non genere" chiamato Dubstep di "Burial" (2006) ed "Untrue" (2007) lo stavano aspettando, io anche.
Siamo alla fine di Marzo, riesco ad intercettare Kode9 ospite al Benji B
Show, BBC Radio 1. Come promesso, suona due dei
tre pezzi contenuti in questo EP. Sono quasi le 4 del mattino, gli occhi
bruciano davanti al monitor, ho sonno.
Ottimi presupposti per godersi la musica di Burial.
Mi sono agganciato subito a "Street Halo", fin da quella notte è un piacere farsi portar via. La cassa viaggia dritta ed i sub-bassi vibrano a dovere ma il martellamento è subliminale, lo sferragliamento di un treno che passa dietro casa
potrebbe essere un buon paragone. Il sample della voce femminile che
arriva a pochi secondi dall'inizio è oscuro e meraviglioso come nelle
sue migliori creazioni. Un grande lato A.
Giriamo e rallentiamo, siamo nel profondo della notte, questa si chiama "NYC".
Siamo vicini al ritmo zoppicante del 2Step, condito da suoni
industriali, dosi di ambient-music e samples vocali dall'aldilà. Piove
anche, sembra di sentire l'eco di un temporale da qualche parte
all'interno della traccia. Secondo me una cosa ricorrente in molte sue
produzioni, è forse solo la mia immaginazione?
Si chiude con "Stolen Dog" e si chiude alla grande. Con il passare del tempo è diventata la mia preferita, la cassa dritta tipo "Street Halo",
tre note, due samples vocali che sussurrano cose bellissime e si
rincorrono per tutta la durata del pezzo. Anime perdute che sembrano
cercarsi, domande e risposte che non sapremo mai.
Pensare che Burial riesce a fare tutto questo con il suo Laptop seduto sul divano è spiazzante e mi fa sentire un incapace.
La
sua musica è semplicemente bella, parla direttamente al nostro
inconscio ed è come se venisse a noi piena delle nostre memorie. Notturna come poche altre, si sublima nel mio
dormiveglia.
In
genere siamo portati a trattare la storiografia musicale attraverso i
grandi mostri sacri quali Rolling Stones, Bob Dylan, Pink Floyd, The
Who e via dicendo. Gruppi o artisti che hanno alle loro spalle
discografie enormi, che hanno attraversato e influenzato svariate
epoche e in alcuni casi hanno dato inizio a nuove epoche. Mostri
Sacri appunto. La storia della Musica (con la M maiuscola) però è
fatta anche da band che hanno lasciato un segno tangibile e portato a
profonde innovazioni (musicali e non) avendo regalato al mondo un
solo album. One Shot. Band esplose con un disco (massimo due), il
primo e poi più nulla…scompaiono, finisce la magia e di quel
gruppo non se sente più parlare. Un solo atto per restare immortali.
Possiamo annoverare tra questa particolare categoria gruppi come
Television e il loro Marquee Moon, Stone Roses con il loro album
omonimo e, come potete intuire dal titolo, gli Young Marble Giants
con il loro Colossal Youth.
Siamo
nel 1980, in un Inghilterra ancora sconvolta dall’esplosione “punk”
di pochi anni prima si sta vivendo una sorta di seconda fase della
rivoluzione. Se in un primo tempo il “movimento” aveva scosso il
mondo da un punto di vista sociale con il messaggio “No Future”
fatto di autodistruzione, completa perdita di qualsiasi cosiddetto
valore morale, odio verso qualsiasi autorià, dal punto di vista
musicale non aveva portato grandi innovazioni ma era stato più che
altro un ritorno alle sonorità grezze, semplici del rock’n’roll
primi anni 60 di Jerry Lee Lewis, Sonics, come a volersi staccare
nettamente dalla musica di quegli anni ormai troppo complessa e
pomposa per lo stile del Do It Yourself. Questa spinta alla
libertà creativa incondizionata in ogni campo portò alla già
citata seconda fase del punk e meglio nota come “post-punk”.
L’obiettivo adesso non è più rompere con il recente passato ma
creare un nuovo presente. Ecco che come forse solo nella germania del
kraut si da importanza solo al nuovo, al mai sentito anche a costo di
produrre suoni fastidiosi e inascoltabili. Non è questo il caso
degli Young Marble Giants che in questo contesto si distinguono per
il loro sound ultra-minimale.
Fondata
da Stuart Moxham (chitarra) con suo fratello Phil (basso) e la
ragazza di quest’ultimo Allison Statton (voce), la band è
concepita come una ulteriore ribellione al punk. Si contrappone
infatti a questo fenomeno confusionario e disordinato con le armi
della calma, della rilassatezza e dell’ordine. La musica dei YMG è
infatti costituita per lo più da una linea di basso che resta quasi
costante per tutta la durata del pezzo sopra cui gioca la chitarra di
Stuart con riff secchi e brevi salvo ogni tanto dare spazio ad un
organetto. Su questo letto di minimalità musicale si adagia la
flebile e svogliata voce di Allison…un non-canto lo si potrebbe
definire che però è la vera particolarità del gruppo.
Grazie
a Rough Trade (regina incontrastata dell’underground di quel
periodo) riescono a far nascere la loro unica opera Colossal Youth
che costituirà per l’etichetta londinese il record di vendite per
un album per molto tempo. Colossal Youth può benissimo candidarsi ad
album perfetto. Non si ha una pausa, una flessione ma resta, con quel
suo stile così semplice così minimo, regolare e magnifico. La voce
suadente di Allison ci culla mentre il sottofondo musicale dei
fratello Moxham ci trasporta in questa atmosfera bohemien e benché
produzione totalmente britannica è impossibile non sentirsi a Parigi
(sarà anche per qualche verso in francese). Una sorta di versione
con strumenti tradizionali e voce umana di Trans Europe Express dei
Kraftwerk se non altro per la freddezza e la matematica regolarità
dei pezzi. “Colossal Youth”, “Searching For Mr Right” e
“Music for Evenings” suonano ancora, a più di trent’anni di
distanza, terribilmente moderni che sembrano usciti da una qualche
colonna sonora per un qualche film indipendente in concorso al
Sundance. “N.I.T.A.” e “The Man Amplifier” contengono il seme
da cui sono nati gli Sterolab.
C’è
adesso solo da scopire perché una band che ha riscosso tanto
successo al momento della sua uscita e che ha portato alla nascita di
band come XX (forse i veri eredi), Stereolab, Belle & Sebastian
si sia poi dissolta nel nulla. E’ presto detto. Liti tra fratelli o
discussioni per una donna sono due tra le principali cause. Loro
erano due fratelli e la ragazza di uno dei due, sono durati anche
troppo. Stuart non ha mai amato la voce di Allison, colpevole secondo
lui di non saper cantare (ed in effetti lei non cantava), non
riconoscendone il vero valore ha finito per portare alla separazione
della band.
Così
canta la Statton in “Final Day” (singolo che l’unica altra
opera lasciataci)
“When
the light goes out on the final day/We will be gone having had our
say”