Robin Pecknold e Skyler Skjelset sono due sopravvissuti a quell’olocausto nucleare anche noto
come “Punk”. Mentre tutto il mondo era in preda a spille, borchie e creste si sono rintanati in un
rifugio anti-atomico, nutrendosi di Bob Dylan, Hank Williams, The Band, Crosby Still Nash e
l’immancabile Neil Young. Rimasti così al riparo dalle radiazioni che hanno portato a New Wave,
Grunge, Post-Punk e quant’altro quando sono usciti a fine primo decennio del nuovo millennio ci
hanno portato questi due album dai sixties incontaminati dalle nuove correnti musicali di questi
ultimi 40 anni. Questa è l’unica spiegazione che riesco a dare all’uscita di un gruppo del genere in questi anni.
Sembra invece che Robin e Skyler siano due ragazzi del nord-ovest degli US poco più che
ventenni. In un’epoca in cui la contaminazione elettronica è sempre più invadente, specialmente dell’universo “Indie” in cui l’innovazione e la sperimentazione sono la stella cometa da seguire, loro hanno fatto un drastico passo in dietro di una quarantina d’anni rifiutando l’utilizzo di intetizzatori e campionamenti vari imbroccando una strada fatta di chitarre acustiche, cori, percussioni e, sporadicamente, un flauto o un violino nella più classica delle tradizioni Folk americane.
Sin da “Montezuma”, primo pezzo di questo secondo album, si è trasportarti in quell’atmosfera
tipica del nord-ovest americano reso celebre da Twin Peaks ad inizio anni ’90. Cullati da cori
polifonici, caratteristica principale delle Volpi, ci ritroviamo a passeggiare nel mezzo a immensi
boschi di conifere indossando una pesante camicia di flanella e con una lunga barba da sfoggiare (non a caso il look dei nostri) in cui il tempo è scandito da una soffice percussione in sottofondo e la melodia nell’aria non è che un semplice arpeggio di chitarra. Il disco risulta molto compatto e i brani hanno tutti più o meno lo stesso stile…in qualcuno sono le percussioni in rilievo (Battery Kinzie), in altri ancora è la voce di Robin (Montezuma), in altri la chitarra (Helplessness Blues) e nella maggior parte sono i cori a farla da padroni.
Detto questo la torta sul davanzale si dovrebbe essere raffreddata, l’assassino di Laura Palmer
catturato, non vi resta che godervi questa piccola chicca degli anni sessan…ehm…2000.
come “Punk”. Mentre tutto il mondo era in preda a spille, borchie e creste si sono rintanati in un
rifugio anti-atomico, nutrendosi di Bob Dylan, Hank Williams, The Band, Crosby Still Nash e
l’immancabile Neil Young. Rimasti così al riparo dalle radiazioni che hanno portato a New Wave,
Grunge, Post-Punk e quant’altro quando sono usciti a fine primo decennio del nuovo millennio ci
hanno portato questi due album dai sixties incontaminati dalle nuove correnti musicali di questi
ultimi 40 anni. Questa è l’unica spiegazione che riesco a dare all’uscita di un gruppo del genere in questi anni.
Sembra invece che Robin e Skyler siano due ragazzi del nord-ovest degli US poco più che
ventenni. In un’epoca in cui la contaminazione elettronica è sempre più invadente, specialmente dell’universo “Indie” in cui l’innovazione e la sperimentazione sono la stella cometa da seguire, loro hanno fatto un drastico passo in dietro di una quarantina d’anni rifiutando l’utilizzo di intetizzatori e campionamenti vari imbroccando una strada fatta di chitarre acustiche, cori, percussioni e, sporadicamente, un flauto o un violino nella più classica delle tradizioni Folk americane.
Sin da “Montezuma”, primo pezzo di questo secondo album, si è trasportarti in quell’atmosfera
tipica del nord-ovest americano reso celebre da Twin Peaks ad inizio anni ’90. Cullati da cori
polifonici, caratteristica principale delle Volpi, ci ritroviamo a passeggiare nel mezzo a immensi
boschi di conifere indossando una pesante camicia di flanella e con una lunga barba da sfoggiare (non a caso il look dei nostri) in cui il tempo è scandito da una soffice percussione in sottofondo e la melodia nell’aria non è che un semplice arpeggio di chitarra. Il disco risulta molto compatto e i brani hanno tutti più o meno lo stesso stile…in qualcuno sono le percussioni in rilievo (Battery Kinzie), in altri ancora è la voce di Robin (Montezuma), in altri la chitarra (Helplessness Blues) e nella maggior parte sono i cori a farla da padroni.
Detto questo la torta sul davanzale si dovrebbe essere raffreddata, l’assassino di Laura Palmer
catturato, non vi resta che godervi questa piccola chicca degli anni sessan…ehm…2000.